Di Michele Ridella
Rientrato dal mio fine settimana a Pontarlier in occasione delle Absinthiades, butto giù qualche impressione su questa esperienza, caratteristica e soddisfacente, che mi ha permesso di fare parecchi assaggi, così da colmare alcune gravi lacune, togliermi qualche curiosità, farmi delle idee per i prossimi acquisti e anche provare qualcosa di cui non avevo mai nemmeno sentito parlare. Non sono purtroppo stato in grado di assaggiare il Roquette, assente sia alla fiera sia alla distilleria Pernot; ho poi accuratamente evitato tutto ciò che già conoscevo, anche ciò che apprezzavo, in modo tale da non sprecare l’occasione, concentrandomi solo su qualcosa di nuovo e su un paio di edizioni limitate.
L’ambiente e l’atmosfera erano gradevolissimi, e malgrado il mio non-rapporto con la lingua francese comunicare è sempre stato piuttosto semplice.
Sono molto soddisfatto delle visite alle distillerie: alla Pernot una guida che parlava inglese ci ha illustrato tutto il processo, ha risposto molto pazientemente a tutte le nostre domande e ci ha fatto provare davvero tante cose, tra assenzi, anis, sapin, liquore all’artemisia e liquore alla violetta; alla Guy sembrava quasi di essere a una festa di paese, con assaggi di assenzio dentro e di salumi e formaggi fuori, tiro con l’arco e bocce quadrate.
Tra assaggi e visite alle distillerie abbiamo avuto anche modo di visitare il museo, passare sotto la Porte Saint Pierre, scoprire (visto che se ne era discusso qui poco tempo fa) che le bottiglie con le etichette “Verte de Fougerolles” e “Blanche de Fougerolles” sono effettivamente ancora in circolazione e in vendita, renderci conto di come persino in un locale di Pontarlier si corre il rischio di farsi servire un François Guy con il ghiaccio direttamente nell’assenzio e venire fermati alla dogana all’ingresso in Svizzera, così da sentirci spiegare da un fiero e orgoglioso doganiere come l’assenzio in Svizzera sia molto più buono e di come ci siano molte più distillerie.
Molti dei vincitori non li avevo mai sentiti nominare (Cherry Rocher, Ulex Alpha, La Harde, La Covassone: se qualcuno sa dirmi qualcosa in proposito sarei molto curioso), ma purtroppo sono stato in grado di assaggiare solo i primi classificati delle due categorie, dal momento che sono stati annunciati poco prima di dovermi rimettere alla guida.
Butto giù qualche impressione su tutti gli assaggi che ho avuto modo di fare. Si tratta di impressioni molto stringate e da prendere con le pinze: nella maggior parte dei casi si è trattato di assaggi molto piccoli e troppo ravvicinati tra loro, e spesso divisi tra quattro persone, in modo tale da poter provare più sapori possibili.
François Guy
Onnipresente, è stato il vero protagonista di questo fine settimana. Non mi aveva mai ispirato particolarmente a dirla tutta, e sono rimasto piacevolmente sorpreso: è molto semplice, è vero; ma vuoi per la bassa gradazione, vuoi appunto per questa sua semplicità, va davvero giù che è un piacere, ottimo con e senza zucchero. L’avevo sempre un po’ ingiustamente snobbato.
La Pontissalienne
Una versione un po’ più forte, forse po’ più complessa e un po’ più amara del Guy. Non intendo dire che sia un assenzio superfluo o che i due siano troppo simili, ma l’impronta di base è ben riconoscibile. Ho preferito il classico Guy, ma anche questo era davvero gradevole.
Garçon une verte
Edizione limitata a (mi sembra di ricordare) 1400 bottiglie, invecchiato in botte, colpisce prima di tutto in quanto si distanzia dagli altri due assenzi Guy: molto meno anisato e appena appena più sottile. Mi è dispiaciuto non acquistarlo, ma mi ero imposto di non comprare grosse bottiglie, e non c’era in formato da 20 cl.
Berthe de Joux
Era uno degli assenzi che più mi intrigavano: ovunque se ne parlava come di un qualcosa di fantastico, mentre qui era stato molto ridimensionato. Personalmente, pur non trovandolo un capolavoro irrinunciabile, mi è piaciuto davvero molto: il louche mi è parso molto buono, soprattutto per gli standard Pernot, e la nota di menta (forse un po’ troppo in evidenza, vero) trovo ci stia piuttosto bene. Non so se ne comprerei una bottiglia intera (ho paura che dopo un poco potrebbe stufarmi, a dirla tutta), ma se dovesse capitarmi l’occasione ne berrei molto volentieri un altro bicchiere.
Bourgeois
Un altro louche davvero convincente, probabilmente grazie anche a un anice molto più in primo piano rispetto a quanto ho avuto modo di sperimentare con altri Pernot. La menta è molto più nelle retrovie, un sapore molto classico.
Cousin Jeune
Questa volta con il louche non ci siamo, ma il sapore mi ha abbastanza convinto: appena appena amaro, floreale-fruttato e molto rinfrescante, solo un po’ troppo sottile e con un alcool un po’ invadente. Anche in questo caso però l’acquisto di una bottiglia non entra al momento in programma.
Vieux Pontarlier
Un classicissimo che non mi ha convinto sino in fondo. Senza zucchero proprio non mi è piaciuto, mentre aggiungendolo la situazione migliora di molto, ma non nego che mi sarei aspettato molto di più. Penso però che, prima di dare giudizi affrettati, dovrei avere l’occasione di riprovarlo.
La Paille
Ultimo Pernot provato, edizione limitata in 500 bottiglie che già da qualche tempo vedevo spuntare qua e là per internet e che mi incuriosiva. Si tratta probabilmente del blanche più amaro che abbia mai assaggiato, e lo zucchero è quasi indispensabile. Soprattutto all’olfatto, ma in parte anche al gusto, ricorda un po’ i classici la bleue, malgrado la già citata amarezza.
Butterfly
Ne avevo sentito parlare talmente tanto che non potevo non provarlo, e non me ne sono pentito. E’ stato il primissimo assaggio che ho fatto e l’ho trovato davvero ma davvero buono: classico e convincente, si tratta sicuramente di un prodotto del quale, in futuro, acquistare una bottiglia.
L’Entêté
Un altro assenzio da tenere d’occhio per un eventuale acquisto. Finocchio in primo piano, artemisia a circondarlo e anice appena più indietro: classico e molto profumato, louche un po’ scarsino ma certo non tragico.
La Coquette
Poco diluito e senza zucchero non mi aveva convinto: corretti questi dettagli si trasforma e diventa buonissimo, anche se con l’alcool un po’ troppo presente, specialmente all’olfatto. Forse non ne comprerei una bottiglia, almeno non nell’immediato, in quanto mi è parso comunque piuttosto simile all’Enigma; resta comunque un ottimo assenzio, e io sono sempre più convinto di avere un debole per i prodotti Devoille.
Pernod
Non posso fare un paragone con un Pernod Fils pre-bando, né con un Tarragona, in quanto non ho mai avuto modo di assaggiare né l’uno né l’altro (ma presto riuscirò a rimediare in entrambi i sensi) e quindi non posso nemmeno esprimermi su quanto sia originale questa “ricetta originale”; mi limiterò quindi a dire che il confronto con lo (o il?) Jade 1901 è nettamente perso. Resta comunque un buon assenzio, ma l’ho trovato anche un po’ anonimo.
Awen Nature Absinthe Rouge
Nell’ultimo mese ho avuto modo di leggere qualcosina su questo assenzio e, apprezzando io non poco il Rubis, mi ispirava parecchio. E’ stato molto… strano: quasi nulla a che spartire con il Rubis. Louche scarsissimo (specialmente con le piccole dosi: una mia amica ne ha preso un secondo assaggio e questa volta hanno abbondato, e il bicchiere era visibilmente più torbido), aroma piuttosto distante da ciò che ci si aspetterebbe da un assenzio e sapore anche. Allo stesso tempo l’ho trovato piuttosto buono, prettamente floreale, con un odore che ricorda quasi una tisana. Si beve molto, molto volentieri, ma si fa un po’ fatica a considerarlo un assenzio vero e proprio.
Bloody Fairy
Altro rouge in concorso, louche all’esatto opposto del suo compagno: rapidissimo, anche troppo, come quello di un pastis. Anche il sapore è un po’ quello di un pastis, e non di un Henri Bardouin. Diluito assume un color big babol accesissimo e poco convincente: molto spettacolare da un certo punto di vista, ma che ha l’aria di essere poco naturale, malgrado da puro fosse molto simile a com’era il mio Rubis appena comprato. Pastoso e dolciastro al palato (anche senza aggiunta di zucchero), anice, anice anice e un tocco floreale che si sente più annusando, che assaggiando. In questo caso, per me è un no pieno.
La 68… harde
Vincitore della categoria blanche, mai sentito prima, non mi è parso niente male. Ha l’aroma di fieno tipico dei la bleue, e la gradazione alcolica mi è parsa un po’ troppo alta. È buono, ma non mi ha colpito in modo particolare.
Cherry Rocher 65
Vincitore della categoria verte, anche questo non mi è sembrato avere nulla di particolare, ma non mi è nemmeno troppo dispiaciuto.. Ne ho bevuto solo un paio di piccoli sorsi, quindi non mi sento di sbilanciarmi e scendere più nel dettaglio. Come con il Bloody Fairy e La Harde (e gli altri in concorso precedentemente citati), anche in questo caso si tratta di un prodotto per me del tutto nuovo, di cui non avevo mai sentito parlare. A questo proposito, se qualcuno sapesse qualcosa più di me (anche solo distillerie, luoghi di produzione e autenticità certa o presunta) riguardo a questi tre assenzi, sarei molto curioso.