Kirkhope Absinthe: la leggenda di Cuneo

PREMESSA

Prima di parlarvi del/i Kirkhope inizierei col sottolineare, al fine di evitare che qualcuno capisca fischi per fiaschi, che tutti gli assenzi appartenenti a questo “brand” (ovvero il bianco, il verde e il facon ancienne) sono degli HG.

Cosa significa? Significa che si tratta di absinthe(s) amatoriali, distillati esclusivamente per passione e non per la vendita.

Ovviamente (e alcuni di voi lo staranno sicuramente pensando) il significato del termine HG dovrebbe essere ben chiaro a chi ci legge/segue (da un po’ di tempo), ma ho voluto puntualizzarlo ancora una volta, nel caso in cui il presente articolo dovesse essere condiviso su siti/forum/social network non specializzati.

Fatta questa (da una parte inutile, dall’altra fondamentale) premessa, passiamo a conoscere un po’ meglio il produttore/prodotto.

LA LEGGENDA DI UN CAVALIERE SOLITARIO
La prima volta che di sentii nominare questo misterioso distillato(re) di Cuneo (e il fatto che fosse delle mie zone aumentò ulteriormente la mia curiosità), risale ad anni e anni fa, ai (primi) tempi del vecchio (e ormai defunto) forum di Sifattack, il nostro primo (o meglio, secondo) antenato. Ricordo che avevo chiesto notizie a Paolo Castellano di Assenzio Italia, ma l’unica cosa che ero riuscito a scoprire è che Federico, il distillatore, all’epoca si poteva contattare esclusivamente attraverso Myspace.
Dopo qualche ricerca infruttuosa (compariva infatti come Motel Kirkhope..), finalmente lo trovai http://www.myspace.com/motelkirkhope/photos/albums/absinthe-kirkhope/658802
e mi iscrissi su MySpace unicamente per potermi mettere in contatto con lui. Dopo un paio di scambi virtuali ci siamo incontrati di persona e fin dall’inizio ho avuto modo di apprezzarlo come una persona assolutamente corretta, modesta e riservata – e tuttavia non privo di un’intrigante “dark side”.

E’ sottinteso che il Kirkhope non è nato dal nostro incontro: esisteva già da anni ed era già conosciuto anche a livello internazionale. A quei tempi i social network non erano ancora così di moda, e Federico presenziava puntualmente ai raduni internazionali (Absintiadi e Boveresse), dove aveva già avuto modo di incontrare alcuni dei “nostri” (ad esempio Paolo e Stefano). Su un prestigioso forum straniero avevo inoltre letto alcune impressioni sul prodotto decisamente favorevoli, e questo non faceva altro che accrescere la mia curiosità.

C’era però una cosa (anzi, due) che destava(no) in me qualche perplessità: la prima (e più trascurabile) è che da quel che avevo capito, ai tempi del nostro incontro, Federico si era rivolto principalmente ai bianchi (e io avevo la fissa per i verdi..), l’altra (meno trascurabile) è che dalle foto che avevo visto in rete, il suddetto bianco presentava un louche (quasi) inesistente, aspetto che mi ha fatto subito capire che più di tanto non dovevo/potevo aspettarmi.
Tenete presente che erano gli anni delle migliori distillazioni Jade contemporanee, ergo ero già abituato piuttosto bene, anche se come assenzio più informale non disdegnavo l’Un Emile.

Il primo assaggio ha confermato tutte le mie perplessità: quando un assenzio (di qualunque tipologia) non presenta louche, i risultato è spesso un sapore di alcool allungato con acqua e condito da aromi un po’ confusi, da qui non si scappa (negli anni l’ho constatato soprattutto con alcuni Pernod/Montmartre non particolarmente riusciti). Ciononostante vedevo delle ottime potenzialità sia nel prodotto sia in Federico e gli ho suggerito di aggiungere un bel po’ d’anice. Seguirono altre distillazioni, e se mi impegnavo nella preparazione riuscivo comunque ad ottenere un louche timido ma accettabile, anche se la ricetta restava comunque troppo povera, e non presentava quella complessità/compiutezza che all’epoca si poteva già trovare in un altro HG che ha fatto storia: il Farom Old Blanche.

Le distillazioni successive erano sostanzialmente stabili, con tendenza al miglioramento, però, obiettivamente, i miglioramenti erano abbastanza minimi e trascurabili. Il prodotto adesso era sicuramente bevibile/gradevole, e mi chiedevo se ci fossero stati ulteriori margini di miglioramento, visto che dopo altri esperimenti/prototipi tutto appariva sostanzialmente in stand by.
In ogni caso ero già abbastanza soddisfatto: un assenzio sicuramente non spettacolare ma genuino, distillato e (cosa per me non trascurabile) prodotto nelle mie zone per passione da un vero pioniere.

Come ho già accennato, a differenza di altri distillatori (che molto spesso hanno – o sarebbe più corretto dire avevano? – una facile propensione all’autoesaltazione :P), Federico si presentava come un tipo estremamente modesto, forse fin troppo: avrei quasi voluto che tirasse fuori un bel guizzo di (sano) orgoglio/ambizione che gli permettesse di fare il salto di qualità.
Quel guizzo non tardò ad arrivare. Mentre mi ero rassegnato all’idea di quel bianco sicuramente valido, ma in un certo senso “incompiuto”, Federico mi chiede un incontro. Ci vediamo in un bar di Cuneo e senza tante premesse/convenevoli si fa portare una caraffa di acqua ghiacciata. Tira poi fuori un boccettino, lo versa nel bicchiere ed..era verde! :O un colore magnifico e naturale, che avevo subito messo a confronto con alcuni sample (trasperenti) che avevo con me e che contenevano i migliori PF1901 e Roquette. Posso garantire che non sfigurava al confronto.
Per l’assaggio ero ancora un po’ titubante (so che molti HGer rovinano i loro bianchi con la colorazione..), però Federico, in questo caso, sembrava piuttosto sicuro di sé, e la sua espressione era di quelle che dicevano “assaggia e poi parla”. Per me fu una piccola rivelazione: finalmente un verde genuino, credibile e convincente! Il louche non era ancora da record, ma bene o male era sui livelli dell’Un Emile e del Roquette, e anche a livello qualitativo non si discostava poi molto.
Quel giorno compresi tutte le potenzialità del/i Kirkhope, che successivamente continuarono ulteriormente a venir fuori.

Nel 2007 sono stato con Federico alle Absinthiadi di Pontarlier e abbiamo fatto assaggiare ai maggiori esperti il suo prototipo verde #33. Tutti ne sono stati colpiti, e l’amico ed esperto Markus Lion di absinthe.de (che in precedenza aveva mosso qualche critica al prodotto), lo ha definito “ready for production”. Ed era vero.
E’ stata sicuramente una bella soddisfazione per tutta la comunità assenziofila italiana, di cui, quell’anno, eravamo gli unici rappresentanti.


Il suo segreto? Si trattava di un assenzio semplice e concreto, lontano dalle particolarità che il mercato stava già sfornando in quegli anni: una ricetta classica di Pontarlier 3+3, con un’ottima artemisia di Couvet (piantata e coltivata in alta Valle Maira) con l’aggiunta (locale) di genepì, che oltre a dare un’impronta particolare al prodotto, si sposa alla perfezione con gli altri ingredienti.
Anche su mio consiglio è invece stata abbandonata la menta, che in quel contesto non “c’azzeccava” molto, pur essendo di ottima qualità.

Una volta affinate bene le dosi, ed essendo difficoltoso reperire ingredienti specifici per fare ulteriori esperimenti (alcool di vino di qualità, artemisia absinthium di Pontarlier), la ricetta è ormai giunta a maturità e può dirsi abbastanza definitiva.

Dove si poteva ancora migliorare era/è sul fronte invecchiamento, che mi piace dividere in 2 (sotto)gruppi: l’invecchiamento (meglio sarebbe parlare di affinamento) in botte e quello in bottiglia.
La risposta non tardò ad arrivare e da lì a poco nacque il Facon Ancienne, che è l’ottimo verde standard lasciato riposare in una botte di rovere contenente (in precedenza) grappa.
Nelle prime versioni il gusto/aroma grappigno si sentiva ancora forse un po’ troppo (molti hanno creduto che si trattasse di alcool di vino) ma nelle distillazioni successive tutto si è stabilizzato, e anche il F. A. è ornai giunto a maturità.

Adesso mancherebbe solo più l’invecchiamento/riposo in bottiglia (anche questa migliorata nel tempo a livello di vetro – ora scuro – tappo a T, etichetta..): un paio d’anni dovrebbero potrebbero fare sicuramente la differenza.

 

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